E a un tratto una lunga onda tiepida era passata sulla cittadina. Una marea d'aria calda, quasi che qualcuno avesse lasciata aperta la porta di una panetteria. Il calore pulsava tra le casette, i cespugli, i ragazzi. Le stalattiti di ghiaccio si distaccavano, rovinose, e, in frantumi, si scioglievano rapidamente. Le porte si spalancavano. I vetri delle finestre si alzavano impetuosi. I ragazzi buttavano via gli indumenti di lana. Le massaie si spogliavano delle loro pelli d'orso.
La neve si scioglieva a mostrare la verde antica prateria dell'ultima estate.
L'estate del razzo. Le parole passavano di bocca in bocca nelle case aperte, ben areate. L'estate del razzo. La calda aria del deserto che mutava i ghirigori di ghiaccio sulle finestre, cancellava l'opera d'arte. Sci e slitte improvvisamente inutili. La neve, nel cadere dal cielo freddo sul villaggio, si trasformava in una pioggia torrida ancor prima di toccare il suolo.
L'estate del razzo. La gente si sporgeva di sotto le verande gocciolanti a spiare il cielo che s'arrossava.
Il razzo stava sul campo di lancio, eruttando rosee nubi di fuoco, esalando scoppi d'aria rovente. Il razzo si levava nella fredda mattina invernale e creava l'estate a ogni respiro dei suoi possenti ugelli di scarico. Il razzo faceva i climi, le stagioni, e l'estate fu per un breve istante sopra la terra...
da CRONACHE MARZIANE di Ray Bradbury
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